ANCHE SE ERA NOTTEFONDA LA CAPPA DI CALORE
ERA OPPRIMENTE, GIROVAGAVO PER LE VIE
TORTUOSE DEL WEB, CALDO AFFOSO OVUNQUE,
LE PAGINE GOCCIOLAVANO DI SUDORE LE PAROLE
SEMBRAVANO VAPORIZZARE SOTTO I MIEI OCCHI.............
MA ECCO, ALL IMPROVVISO UNA VENTATA DI FRESCHEZZA,
E QUEL PROFUMO,CHE ARRIVA SOLO CON LA BREZZA MARINA,
SALSEDINE MISTO ALLA DOLCEZZA DELLE STELLE, IL RUMORE
DELLE ONDE LENTE E SULLA SUPERFICE DEL MARE UN
PONTICELLO D'ARGENTO USCITA DAL PENELLO GENEROSO
DELLA LUNA, ALLORA COMINCIAI A CORRERE E PERCORSI
TUTTO D'UN FIATO E SOLO DOPO LE ULTIME PAROLE
CAPì, CHE ERO NEL BLOG DI http://motivixalzarsialmattino.splinder.com
VI RIPORTO QUI SOTTO LA NOVELLA DI dipocheparole,
SPERANDO, CHE VI PORTI REFRIGERIO E GIOIA NELL
LEGGERLA, TANTO, QUANTO LA DIEDE A ME. emer
IO LO AMO
Questa volta se sono riuscita ad arrivare fin qui è solo perché lo amo. Lo amo lo amo lo amo lo amo lo amoloamoloamoloamo.. Tanto più che non c’è in giro un cane a cui chiedere. Usa il saltellitare mi ha detto. Ma mia mamma non ce l’ha il saltellitare sulla macchina, gliel’avevo già detto, ma cosa vuoi che si ricordi quello. Con tutte le cose che ha da fare. Beh, guardati la strada su Viamichelin o su Mappy, quello almeno lo sai fare? Beh mica tanto, ma potrei chiedere a mia sorella, ho detto. Ma poi ho pensato che mia sorella era meglio lasciarla fuori. Già sta sempre a dirmi che uno così stronzo potevo trovarlo solo io.
Da quella volta che lui mi aveva lasciata e che mi ha trovato seduta per terra in garage che piangevo, macchè piangevo, ero semplicemente disperata. Comunque non è che davvero pensassi di farlo. Sì, ci avevo pensato, ma solo perché ero entrata dal garage per non farmi vedere da mia madre e sul bancone dove mio padre una volta teneva i suoi attrezzi, avevo visto quel tubo di gomma, e così avevo provato a vedere se ci stava nel tubo di scappamento. Ci stava anche, mi ero sporcata da schifo le mani di nero e per non macchiarmi dappertutto il giaccone nuovo, mi ero pure messa a lavarmi le mani sotto il rubinetto in lavanderia. Ma non c’era il sapone, non veniva via niente, e mi ero sentita così male al pensiero di me morta, con le mani luride di porcheria nera, e poi di mia madre che dopo mio padre si era appena ripresa, che mi ero fatta pena e mi ero seduta lì e basta. Quando era arrivata mia sorella, piangevo da così tanto che ormai non piangevo neanche più, e non capivo più niente. Lei invece forse capii tutto, ma non mi disse niente, mi portò di sopra, mi diede delle gocce per dormire, di quelle che usa la mamma, e non credo che, poi, le disse niente. Anzi, di sicuro, perché senò figurati se la mattina dopo la mamma ci credeva che avevo la febbre e non potevo andare in negozio.
Ma lei alla Cristina crede sempre, è a me che non crede mai e mi dice che alla mia età lei aveva già due figlie mentre io penso solo a uscire e a divertirmi. Se poi sapesse che sto con uno sposato mi ammazza. Non lo sa neanche la Cristina questo, ma ho paura che prima o poi lo capisca perché mica è scema. Quando alla domenica mi vede sempre a casa, mi chiede se quello stronzo preferisce sempre uscire con gli amici. Io le ho raccontato che lui gioca a calcio e che le domeniche ce le ha sempre impegnate, e poi ha gli allenamenti, le riunioni, insomma tutte quelle robe che fanno i calciatori.
Ma quando mi ha visto che neanche a Natale sono uscita, e neppure la vigilia, e con la faccia che avevo non era difficile capire quanto male stavo, mi ha guardato strano. Non mi ha chiesto niente, perché poi erano arrivati gli zii e dopo il pranzo è venuto a prenderla Tommaso per andare al cinema, ma sono sicura che se lo chiede alla Gloria in negozio, come sa fare lei, con quel suo fare di nulla, quella le racconta tutto. Sì, insomma, che sto con uno sposato, mica il resto, anche perché la Gloria non sa niente del resto.
Quella scema. Maledetta la volta che lo ha visto. Stavamo facendo la vetrina, e lui si è fermato proprio lì davanti con la moto. Lui era con il bambino, e aveva fatto apposta a fermarsi lì. È che gli piace imbarazzarmi. Dice che gli piace quando divento rossa. Così si è fermato lì, si è tolto il casco e con calma, senza guardarmi, ha tolto il casco al bambino. La Gloria ha cominciato a dirmi: - Ehi, guarda che figo sto tipo! Peccato che abbia già un figlio! Ehi Angelina! Ma lo vedi? Sai che credo di averlo già visto al Nidaba il venerdì? Chissà i corni che ha sua moglie poveretta. -
Io non dicevo niente, pulivo le macchie sulla vetrina in alto. Mi sentivo le guance di fuoco. Lui intanto se n’era andato, senza neanche guardarmi, come se io fossi trasparente. Allora ho detto a quella cretina di non chiamarmi Angelina perché io mi chiamo Angela. Lei mi ha guardato e mi ha chiesto cosa cazzo avevo, se ero impazzita per caso. Io scendendo dalla scaletta sono anche caduta e sono scoppiata a piangere, per fortuna che quel pomeriggio non c’era la signora Palma.
E insomma, è finita che le ho raccontato che stavo con lui. Erano settimane che me lo tenevo dentro e stavo scoppiando. Perché lui dice che mi ama, che mi ama, ma che non può lasciare suo figlio.
Lui dice che stravede per suo figlio, anche se ha fatto fatica i primi tempi, perché erano giovanissimi quando lei è rimasta incinta, e lui non avrebbe voluto avere il bambino, né tantomeno sposarla, ma poi le famiglie hanno fatto un casino tale che alla fine si sono sposati. Lui avrebbe voluto fare l’università, dice che si era anche iscritto a Scienze Politiche, soprattutto perché voleva andarsene di casa, ma poi, dopo il fatto che lui aveva messo incinta la figlia dei Bortoletto, che da sempre si credono i signori del paese, anche se tutti sanno che hanno fatto i soldi vendendo candele per i mercati, insomma, sta di fatto che i suoi non gli hanno più dato una lira e gli è toccato continuare a lavorare con suo padre.
Però con sua moglie sono già d’accordo che appena il bambino ha dodici anni si separano, perché è un’età in cui può capire meglio, senò adesso sarebbe un trauma. A lui piacciono tanto i bambini e in fondo ha sempre detto che ne vorrebbe avere altri prima dei trentacinque anni, che senò poi è troppo vecchio, ma non con lei, non con sua moglie.
E insomma, ai dodici anni di Matteo non manca tanto. In fondo sarebbero solo due anni, e in questi due anni nel frattempo potremmo vederci sempre di nascosto come abbiamo fatto finora.
E della bambina, perché io so che sarà una femmina, potremmo dirlo solo alle famiglie, e per non farlo sapere proprio a tutti io potrei andare a stare a Milano, da mia zia che è sempre stata buonissima con me, che ogni volta mi ripete che sono il ritratto sputato di mio padre e di andare a trovarla quando voglio. E poi, una volta che la bambina è nata, potrei stare lì ancora per un po' e trovarmi un lavoretto finchè lui non si separa e possiamo mettere su casa insieme.
Il problema invece sarà dirlo alla mamma. Lei si è sposata incinta e ci ha sempre predicato di studiare e di essere indipendenti. Ma se io non sono mai andata bene a scuola, cosa devo fare? Anche il papà lo diceva: mica tutti sono fatti per studiare, lui infatti non aveva studiato. Io, invece, ho sempre desiderato avere dei bambini e farmi una famiglia, e mica è colpa mia se l’uomo che amo ne ha già una. Ma per fortuna esiste il divorzio. L’ho detto anche a lui prima, al telefono. Io non avrei voluto dargli la notizia per telefono, ma lui ha capito subito che c’era qualcosa che non andava, del resto era da prima di Natale che avevo fatto il test, ma lui mi aveva detto di non chiamarlo assolutamente durante le feste: niente telefonate e niente sms. Me l’aveva anche fatto giurare. Avrei voluto dirglielo bene, con calma, noi due da soli. Ma io se non lo dicevo a qualcuno almeno oggi sarei morta. Ho passato un Natale e un Capodanno di merda. Con mia madre che continuava a chiedermi cosa avevo, mia sorella che mi teneva d’occhio e con tutte quelle sceme delle mie amiche che non fanno che parlare di ragazzi, ma che non sanno cosa vuol dire essere davvero innamorati.
Così erano quindici giorni che non lo sentivo, sì, dal 23 dicembre, quando è venuto in negozio a comprare tre filoncini e quattro mantovane e io già avevo un ritardo, ma non potevo certo dirglielo lì. Lui mi ha fatto l’occhiolino e se n’è andato. Fuori c’era la moglie che lo aspettava con Matteo, pieni di pacchetti. Si sono fermati a parlare con un’altra coppia lì davanti. Io mi sentivo morire. La Gloria mi guardava, ma questa volta non le ho detto niente, non ho detto niente a nessuno. Solo a lui. Aspettavo il lunedì, che finalmente ste feste maledette erano finite e potevo chiamarlo. Sapevo che mi avrebbe chiesto di incontrarci, dobbiamo parlarne, e io muoio dalla voglia di vederlo, ma pensavo che ci saremmo visti al solito posto, non in collina.
È già tanto se sono riuscita ad arrivarci per tutte queste curve. Beh, scendo e mi fumo una sigaretta intanto. Lo so, non dovrei fumare, ma tu, piccolina, me lo perdonerai. Dai, ti prometto che è l’ultima.
Angelina scese dall’auto, si accese la sigaretta e si fermò a guardare la pianura in basso, percorsa da mille luci tremolanti, lontane, l’orizzonte rosso del sole appena tramontato tra i rami degli alberi, e sotto, il bosco buio, nero. L’aria sapeva di legna bruciata, di freddo. Odore d’inverno. Lei, invece, nascerà alla fine dell’estate, con il caldo, pensò sorridendo. Si girò verso il piazzale della trattoria. Chissà se lui sapeva che era chiusa. Forse aveva pensato di poter mangiare qualcosa, di festeggiare magari, ma non si era ricordato che, passata l’Epifania, i locali spesso chiudevano, soprattutto in collina dove fino alla bella stagione non ci andava più nessuno. C’era un abete davanti alla porta con ancora una ghirlanda d’argento intorno e le luci colorate spente. Domani anche a lei sarebbe toccato togliere le decorazioni natalizie dalla vetrina del negozio. Faceva freddo, ormai era buio, e lui era in ritardo. Prese il cellulare e fece il suo numero, quando dalla curva spuntarono i fanali della sua auto. Lei sorrise, era troppo felice. Rimase lì, in piedi, con il telefono in mano che suonava libero.
Lui si fermò proprio lì davanti, scese dalla macchina, non spense i fanali, e lei non vide cosa prendeva dal sedile di dietro. In un attimo le fu davanti, le strappò il cellulare dalla mano, lo buttò per terra e con il tacco dello stivale lo schiacciò sul cemento del piazzale. Angelina guardò per terra, si era staccato un pezzo di metallo, fece per allungare una mano.
Lui raccolse il telefono, e con un gesto che le parve infinito, con il braccio teso all’indietro, lo gettò giù, verso il basso, verso il bosco. Angelina alzò lo sguardo e lo vide volare sopra la sua testa, il metallo chiaro illuminato per un attimo dai fanali dell’auto, e pensò che quello era solo l’inizio, l’inizio di qualcosa che sarebbe stato diverso, per sempre.